Presenza, equilibrio, percezione: 3 risorse dei disabili nella danza (che i normodotati non hanno)
L’arte è una forma di espressione che difficilmente si adegua al concetto di ‘normalità’ ed è per questo che non conosce quello di ‘diversità’.
Non esiste un quadro diversamente reale o diversamente astratto, non esiste immaginazione diversamente onirica o diversamente violenta. Non si può parlare di un movimento corporeo diversamente intenso. Esiste l’arte fatta bene e quella superficiale, quella che comunica qualcosa e quella che è solo sfoggio di un ego ipertrofico, e queste due classificazioni non sfuggono agli occhi di chi ne usufruisce.
Questo non vale solo nel campo dell’arte figurativa, ma anche per l’espressione corporea. La danza ha ormai compreso che un corpo in movimento esprime emozioni differenti a seconda del potenziale di ognuno, e che la carica emotiva e la grazia di un ballerino e di una ballerina non hanno bisogno di camminare sempre e solo sulle punte di gesso.
Infatti sono sempre di più le scuole di danza in tutta Italia che, assieme ai corsi differenziati per età e livello pregresso di conoscenza della disciplina, affiancano anche corsi per persone con disabilità motorie o sensoriali.
Alcuni la chiamano ‘danza terapia’, ma definirla una forma alternativa di cura sarebbe riduttivo. Perché a volte, sembrerà strano, ma non c’è proprio nulla da curare, ma solo espressione, emozione e infinita bellezza da tirar fuori, attraverso lo specifico della danza.
Dice la danzatrice e coreografa argentina Maria Fux (capostipite di un metodo di insegnamento che porta il suo nome): “la Verità della Danza si palesa attraverso il Corpo e la costante ricerca dello stato di Presenza; colui che va incontro al Movimento deve esserci, deve conoscere ed essere responsabile del proprio Corpo nello spazio, nel tempo e nel Limite in relazione agli altri. Ecco allora che si aprono infiniti orizzonti di ricerca, di “non sapere” e di magnifiche intuizioni.
In Italia il metodo Fux è applicato nella scuola milanese di Valentina Vano (www.metodomariafux.com)
Esistono e si diffondono, inoltre, quelle specifiche sotto-discilpline della danza o specifiche tecniche in cui i disabili diventano i migliori destinatari, perché dotati di abilità che li rendono più adatti dei normo dotati. Ad esempio a Milano, la scuola Apsaras, propone la danza sacra praticata in India da bambini e ragazzi Sordi.
Secondo questa disciplina, la danza è matematica della mente e geometria del corpo, per cui non si fa nessun riferimento alla musica. Al contrario, i maestri (indiani e non) rimproverano coloro che invece di concentrarsi su ciò che deve sapere il corpo si fanno guidare della musica durante l’esecuzione della danza.
All’allievo viene chiesto di appropriarsi di una profonda consapevolezza della varietà dei possibili movimenti del corpo e del tempo.
Un’altra disciplina in cui i disabili diventano i primi della classe è il gettonatissimo tango argentino.
Secondo quanto dice Andrea Vighi, campione mondiale di tango, una persona ipovedente è agevolata nel tango perché si tratta di una danza interiore, dove conta moltissimo il contatto con il proprio partner e gli ipovedenti hanno molta più consapevolezza del proprio asse.
A Bologna, l’associazione Retinite Pigmentosa Emilia-Romagna organizza corsi guidati proprio dal maestro Vighi.
Di meno, ad oggi, le iniziative di questo tipo al Sud Italia, ma siamo certi che è solo questione di tempo.