Portatori di disabilità e di innovazione nel ‘patto assurdo’ del teatro

Di Sabrina Barbante
Il teatro ha in sé l’assurdo.
Ogni spettacolo teatrale viene messo in scena partendo dal presupposto che esista un patto tacito con lo spettatore, in cui quest’ultimo deve credere a quello che vede, sente, percepisce solo perché lo vede, sente, percepisce.

Ad esempio, deve fingere che ci siano 4 pareti e non solo tre.
Come nel gioco del ‘facciamo che io ero’, quello dei bambini, lo spettatore deve fingere che ci sia il verde o il cielo dove gli interpreti lo indicano, deve fingere di vedere pioggia se gli attori si riparano e che ci sia sole se i personaggi sono sdraiati accanto ad un ombrellone.
E lo stesso concetto di verosimiglianza/non verosimiglianza, spesso preteso e atteso in ogni altra forma d’arte, cessa di esistere solo lì, in teatro.

Per questo il teatro può essere un baluardo nell’abbattimento di ogni forma di barriera mentale nei confronti di ciò che è differente, perché chiede sempre agli spettatori di fingere che ciò cui assistono sia normale.

Ma qual è, invece, il contributo che la differenza, in particolare la disabilità, dà al teatro?

Avevamo già accennato qualcosa in proposito in occasione della rappresentazione “personaggi in cerca d’autore”, messo in scena nell’aprile 2014 dalla compagnia Diversabilità 13.82, composta da attori portatori di disabilità e non.

Aggiungiamo adesso che ci sono diversi elementi che rendono i portatori di disabilità particolarmente preziosi per il teatro.

1 – Percezione e presenza. 
Come nel mondo della danza, molte tipologie di portatori di disabilità sensoriali hanno la caratteristica di un maggiore equilibrio e percezione del proprio asse e maggiore consapevolezza spazio temporale (come nel caso degli ipovedenti).
Questo li rende particolarmente abili e a proprio agio negli spostamenti scenici e veloci nella memorizzazione delle entrate e delle uscite.
Ovviamente alcune tipologie drammaturgiche sono più adatte ed altre meno ad ogni soggetto, esattamente come avviene per i non portatori di disabilità.

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2 – Lavorazione del testo
Molti amanti del teatro hanno spesso l’impressione che questo sia talvolta restio al cambiamento. Lo dicono anche i dati, dal momento che oltre la metà degli spettacoli messi in scena solo in Italia ogni anno sono riproduzioni o elaborazioni di opere classiche. Insomma, pare che nel teatro italiano non ci sia posto per i testi nuovi e i nuovi autori.
La diversa percezione della realtà da parte di un portatore di disabilità può diventare una sua diversa narrazione, da nuovi punti di vista e nuove angolazioni.
Questo può contribuire notevolmente ad uno svecchiamento dei cliché scenici e narrativi e portare ad un nuovo rinascimento teatrale.

zero meccanico

3 – Abbattimento barriere e stereotipi di ‘normalizzazione’
L’innovazione dell’arte e nell’arte comporta alla lunga anche ripercussioni sul sociale. Il teatro è stato, nei suoi anni d’oro, veicolo e binario di sensibilizzazione molto più del cinema e di ogni altra arte, proprio grazie a quell’intimo ‘accordo assurdo’ menzionato all’inizio.
Le compagnie che decidono di nascere unendo portatori di disabilità e non portatori di disabilità hanno già abbattuto lo stereotipo della necessità di ghettizzazione e persino quello dell’uso del teatro come ‘terapia’.
Compagnie quali ZeroMeccanico, ad esempio, della quale vi parleremo presto e molto spesso, hanno deciso di ‘sfruttare’ il potenziale artistico ed espressivo dei portatori di disabilità, unendolo al talento di altre ragazze e ragazzi normodotati, per creare nuove narrazioni sceniche. Per il bene del teatro più che dell’obiettivo diffuso alla ‘normalizzazione’ di ogni cosa.

Il teatro, come l’amore per De André, ha il teatro come solo argomento e chi lo ama e lo vive ha il coraggio di andare sempre un passo (anche due) avanti gli altri.
Ed è il motivo per cui esiste da secoli e per secoli ancora esisterà.

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